Mondo Michelin

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Qualche mese fa mi sono ritrovata nel bel mezzo dell’inaugurazione di una mostra d’arte. Un vernissage ecco. Tra un assaggino e l’altro mi sono messa a disquisire per del tempo con un ex ispettore Michelin che di cibo sapeva il fatto suo. Un omone del centro Italia dall’aspetto un po’ grottesco e l’appetito incalzante. Non elegante, non pretenzioso; una simpatica ed allegorica modestia dietro la quale si cela un passato di assaggiatore e critico esperto di pietanze e rigidi protocolli. Sempre accompagnato da qualcuno per non destare sospetti; rimborsato della spesa sua e di quella dell’”accompagnatore”, nel più misterioso degli anonimati. Un valutatore di quelli seri che, in virtù di tanto vagabondare tra le eccellenze del gusto, a più riprese ha esaltato il valore della semplicità di una lasagna fatta in casa. D’altronde, lo si sa, chi ha il pane non ha i denti. O l’erba del vicino è sempre più verde. Ma non facciamo di tutta un’erba un fascio. Perché c’è chi ha amato il suo lavoro, come il signor tal dei tali con cui ho conversato e chi invece l’ha detestato come quel tizio francese di nome Pascal Rémy, un ex ispettore Michelin che nel 2004 pubblicò un libro scalpore, narrando gli aspetti bui di questo lavoro (“L’Inspecteur se Met à Table”) ed accusando favoritismi, una pessima retribuzione, un po’ di questo e un po’ di quello. Per quanto mi riguarda continuerò a sognare a bocca aperta sul lavoro più bello del mondo.

Detto questo e ritornando al vernissage, come da ogni interessante conversazione nata nei posti meno pensati e sperati, stuzzicato come sempre ne è stato il mio appetito. Di conoscere vita, morte e anche un po’ miracoli del firmamento Michelin. Fiorito, più che stellato. Nessuno mi ha però ancora spiegato il perché. Nemmeno il signor ispettore amico mio.

A spasso per ristoranti che vantano uno, due o tre stemmini, vi siete mai chiesti cosa significano quelle stelle che poi tanto stelle non sono? Forse è proprio perché si assegnano “di nascosto” che sono state camuffate dietro a dei fiorellini di simpatica fattura, di sei petali sei provvisti.

Quali sono gli elementi analizzati per l’assegnazione delle stelle, sintetizzati sul finir dell’ispezione in un report con diligenza compilato? Per prima cosa viene valutato il piatto, in 4 elementi:

  • qualità del prodotto;
  • tecnica della preparazione;
  • equilibrio tra gli ingredienti;
  • creatività dello chef.

E per dare un senso ai petali, mettiamocene altri due: @ la qualità del servizio e @ l’atmosfera complessiva data dagli arredi. Direi che può bastare e a sei siamo arrivati. Visto che come in tutte le cose da ridire ce n’è sempre assai, meglio non esagerare coi parametri.

Affamata dunque di sapere ho telefonato a mio padre che ricordavo conservasse in casa un libricino piccolo e rosso intitolato “Guide Michelin – Offert gracieusement aux Chauffeurs” – Edition 1900. “Una riproduzione, tesoro”… “Peccato”, ho ribattuto io. Una lista tascabile di pompe di benzina, meccanici e gommisti, hotel e percorsi (smentisco chi menziona i ristoranti), la cui prima edizione venne distribuita gratuitamente in 35.000 copie. Destinata a ciclisti e proprietari di auto in Francia, fu creata dai fratelli Édouard e André Michelin, proprietari di una compagnia di pneumatici; quella dell’omino grassoccio per intenderci.  Fuori dai confini francesi venne pubblicata nel 1904 in Belgio e la prima edizione britannica risale al 1911. Fu solo a partire dal 1920 che la guida iniziò ad essere a pagamento (per 7 franchi): si narra una leggenda a tal proposito ma poiché non ci credo io non la racconto. Nel 1931 (o comunque sul finire degli anni ’20), dopo aver riscontrato una certa popolarità delle sezione ristoranti/hotel con relativa votazione, venne formalmente introdotto il sistema di valutazione basato sulle visite di anonimi ispettori volto a sintetizzare il tutto in 3 categorie di stelle:

  • 1 stella = “un ottimo ristorante per la sua categoria”.
  • 2 stelle = ”eccellente; merita una deviazione”.
  • 3 stelle = ”cucina eccezionale; merita un viaggio speciale”.

Sopravissuti due conflitti mondiali, la Guida Michelin approda finalmente anche in Italia. Corre l’anno 1956. Inizialmente interesserà solo l’area dalle Alpi a Siena. Nel 1957 si espanderà alla penisola intera. Dai 7 franchi alle 1.500 lire. Bei tempi.

Un libricino scritto a caratteri minuscoli, fitto di simboli di difficile lettura ma con tanto di istruzioni dettagliate in diverse lingue. Un intricato labirinto di nozioni. Non ci sono descrizioni. L’ordine è alfabetico e non per regione, così come è solita ancor oggi la Guida Michelin. Impera il rosso e con lui il nero.

Corre l’anno 1959 quando iniziarono a comparire le prime stelle come le intendiamo oggi; così come già si intendevano all’epoca in Francia. Nel 1969 i primi ristoranti a due stelle. Bisogna attendere il 1986 per ottenere la tripletta anche nel Bel Paese. Fu Gualtiero Marchesi ad aprire la stagione (con il celebre ristorante di via Bonvesin de La Riva a Milano): un successo gastronomico negli anni dietro l’altro sino ad ottenere nel 2016 l’onore, in quanto paese, di salire sul podio con il miglior ristorante al mondo. L’Osteria Francescana di Massimo Bottura. Massimo sei il numero 1. E questa volta è proprio vero.

Dagli 81 locali italiani stellati nella guida del 1959 ai ben 334 annunciati nel 2016. Stelle e scintille alle ultime elezioni in un universo che riluce sempre più; oramai quasi accecante. La passione aumenta, la competizione si agguerrisce ed il pubblico è sempre più goloso.

Per gli appassionati gourmet che trotterellano in giro per il mondo, la bussola Michelin orienta ben oltre i confini francesi e nazionali. Ormai diffusa internazionalmente (nel 2005 travalica i confini europei arrivando a NY e San Francisco; nel 2008 arriva pure a Tokyo) è stata e sempre rimarrà un punto di riferimento insostituibile per i ghiottoni vagabondi, alla ricerca delle chicche del gusto e dei sapori della buona tavola.

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