Questo post è il ricordo di un ristorante speciale per diversi motivi ma il primo in assoluto è che si tratta del ristorante stellato che ho provato con la maggior onestà nei prezzi. Hanno di recente guadagnato una stella (2014) e devo dire che è senza dubbio più che meritata. Cinque generazioni. Una storia legata ad un territorio. Tutto inizia a inizi ‘900 con la trisnonna “Gegia” che apre un’Osteria-Trattoria dove si gioca a carte sorseggiando “l’ombra”. L’ultimo dei suoi sei figli acquista nel 1938 l’attuale stabile di Rio San Martino, frazione di Scorzè (Venezia). Passato al figlio Walter Berto che insieme alla moglie Luigina ne cambia aspetto, il Ristorante prende il nome del Paese in cui risiede. Dei tre figli della coppia sarà Michela che prenderà in gestione il locale che porterà avanti con il marito chef Raffaele Ros. Amore e passione si fondono. Ed i risultati sono brillanti. Brillano.
Migliore “ Carta dei Vini della Ristorazione del Veneto 2013 ” – una “Stella Michelin nel 2014 ”
Cosa mi ha colpito maggiormente? I colori. L’arredo è minimale, affrescato di bianco ma con dei quadri colorati che rompono la simmetria. Interessante quanto commentato nel loro sito “il locale è stato oggetto di un intervento radicale al suo interno partito da un’analisi filologica a cui i progettisti hanno dato il titolo di “CURA”. Ed è proprio dalla cura per sé e per gli altri, dalla cura del cibo e dell’accoglienza che nasce un programma teorico prima ancora che architettonico, dove si è inserita la comunicazione visiva apportando altri due concetti “contenuto – contenente” – sintetizzati in segno grafico”.
La tavola è arredata con semplicità e nello stile tradizionale. Quindi la tovaglia c’è. Si, perché mi è capitato di cenare in un ristorante tri-stellato su una superficie di legno. Esperienza anche quella, viva. Il legno è un materiale caldo, trasmette raccoglimento.
Su di una superficie completamente candida spiccavano i colori dei bicchieri coloratissimi, sembravano (soffiati) a mano; uno differente dall’altro. Così come il contrasto tra muri bianchi e quadri colorati, tra la tovaglia color latte ed i bicchieri variopinti, si ritrova lo stesso concetto nel piatto. In una perfetta geometria data dalla regolarità delle forme, si presenta una tavolozza di colori unica. Il messaggio è chiaro: l’occhio vuole la sua parte.
E suscita le sensazioni. I piatti vanno capiti, letti ed interpretati. Non necessariamente in quest’ordine. E se la lettura può sembrare un po’ criptica quando il menù vi viene presentato, sarà Michela con una calda professionalità a darvi tutte le delucidazioni al riguardo, convincendovi a mangiare una fiaba. Si, proprio quello che è successo a me ordinando Il Lago dei Cigni (piatto ispirato alla fiaba, composto da seppia e piselli). Un’esplosione di sapori, nonostante la delicatezza delle materie prime.
Più tradizionale ma originalmente interpretata anche la mareggiata di moscardini. Sembrava di addentare il mare (possibile?).
La carta dei vini è tanto semplice quanto ricca. Dove per ricca mi riferisco alla vastità di scelta, così come alla pienezza del contenuto. E, ancora una volta, i ricarichi sono onesti.
Dopo un interessante Dosaggio Zero Trento DOC – Oro Rosso (semplicemente piacevole), la scelta del girotavola si è dirottata su Josko Gravner, sul suo bianco di punta, il Breg, annata 1995. Un blend di Sauvignon Blanc, Chardonnay, Riesling italico e Pinot Grigio. Il suo colore è dorato. Il suo profumo è complesso. Quasi fastidioso all’inizio. Ma accattivante. Un vino che si capisce essere stato fatto con lo spirito, con la passione. La finezza d’aromi che sprigiona non è immediata; ma il puzzle di profumi si districa pian piano.
Essendoci stato servito verso la fine del pasto abbiamo avuto la possibilità di portare il vino avanzato a casa, per poterlo degustare nella meditazione più totale. Di questo ne sono stata felice perché a volte eventi e circostanze esterne possono turbare la comprensione di un vino.
Il dessert? In occasione di un compleanno abbiamo richiesto la preparazione di un dolce. Tradizione vuole che compleanno non è tale se non c’è una torta con le candeline. Non importa l’età. Ed è in questo contesto che la tradizione di una torta di quelle classiche, quelle che rievocano i compleanni trascorsi in famiglia o con gli amici, è quanto di meglio ci sia per trasmettere un ricordo. Una millefoglie nello specifico. La più buona che io abbia mai mangiato. E questo dice tutto.
La prossima volta, sarà il turno di una passata di frutta rossa, gelato di yogurt e polvere di Fishermen. Perché sicuramente ci sarà una seconda volta.
Piacevole scoperta il tuo blog! 65Luna
p.s. anche io sono sommelier!
Grazie 🙂 lo stesso per me!!:):)