• I vini naturali… lieviti indigeni in azione

Tra psiche e materia nasce il vino di Marco Sambin

Forte dedizione al lavoro a contatto con la natura ed un’inclinazione naturale alla sfida, come quella di produrre un vino, senza compromesso alcuno. Un vino naturale in grado di parlare allo spirito e sedurre il palato. E’ questo il vino di Marco Sambin, un’azienda nata nel 2002.

Docente di psicologia presso l’università di Padova, da sempre Marco ha svolto tale professione con cuore e passione. E’ uno che si è applicato apportando teorie nuove e formando generazioni di psicoterapeuti. Ma che ha sempre coltivato nell’intimo il desiderio di tornare alla terra, sporcandosi con la stessa le mani. E’ l’humus che batte forte.

Cattura

Ecco che allora filantropia ed agricoltura si fondo in un tutt’uno, attraverso la nascita sui Colli Euganei di una scuola di specializzazione di psicoterapia dinamica integrata, dove il sabato e la domenica si svolgono le lezioni e gli allievi neolaureati trascorrono il week end in cascina, in mezzo alla natura e al cibo buono. Attraverso la coltivazione della vigna sullo stesso appezzamento di terra, a Valnogaredo, alla quale oggi Marco si dedica al 100%. Il supporto dell’enologo Guido Busatto, promotore del mantenimento dell’identità del vigneto e della quasi abolizione degli interventi in cantina, si sposa a pieno con la filosofia (o con la psicologia … ) di Marco. Un approccio naturalista, insomma. La natura va ascoltata perché sono suolo e materia prima a parlarci di continuo: con discrezione ma tentando di persuaderci sulla direzione che dobbiamo seguire. Un orientamento voluto per originare dei prodotti a più riprese definiti di “taglio sartoriale”  dove la qualità sacrifica la quantità. 3 ettari: non uno di più, non uno di meno. Mezza bottiglia per pianta. 5 grappoli d’uva ad ogni vite.

L’approccio seguito è spinto. Biodinamico spinto, per la precisione. Seguito in ogni fase e per tutte le viti coltivate: merlot, cabernet franc, cabernet sauvignon ed una piccola percentuale di syrah.

Potatura a basso impatto, concimazioni a dosaggi omeopatici; preparati a base di macerati vegetali ed oli essenziali per fortificare le difese delle piante.  Semina di sovesci vegetali (un composto di cereali, foraggere e leguminose)  ed irrorazione del preparato biodinamico 500, un composto a base di letame bovino interrato sei mesi in corni di vacca affinché si trasformi in humus, alias fertilizzante. Per i non addetti ai lavori, tutto questo significa, forte e chiaro, no alla chimica. L’apporto manuale ha una missione, quella di mantenere inalterata il più possibile l’identità del terroir.

Ma quindi, cosa si beve? O meglio, che si degusta, per non cadere nell’abbondanza, nociva quanto lasciva.

Tanto per cominciare bagnatevi le labbra con il capostipite: il Marcus un blend di tutti i vitigni sopra menzionati, syrah incluso. Un vino pieno, strutturato, di corpo. Note aromatiche e speziate.

Il fratello minore è Alter, dalle vigne più giovani di cabernet sauvignon e franc.  100% cabernet sauvignon per  Le femminelle, frutto dell’annata 2013.

Sempre mono-vitigno il David, il Micael e il Paulus, rispettivamente a base di cabernet sauvignon, merlot e cabernet franc. E poi un’altra donna, Isabel,  un rosa intenso per questo rosato prodotto dal “salasso” delle uve. Cioè? Ulularono gli addetti ai lavori in coro.  Una tecnica utilizzata per ottenere i vini rosé (ma che dite? si chiamano rosati) che consiste nel prelievo di una parte del mosto appena fermentato con due obiettivi: “concentrare” il mosto restante e produrre un altro vino attraverso fermentazione in assenza di bucce.

Per chiudere in bellezza, il Martha 2013, un bianco frizzante da uva garganega (ecco, colta in fallo, me l’ero proprio dimenticata), rifermentato in bottiglia. Un vino di quelli torbidi opachi opachi che, nella versione Martha.due, diventa color giallo carico a seguito di una prolungata macerazione sulle bucce.

Ci starebbe anche un po’ di dolcezza, a questo punto. Ma il passito lo lascio scegliere a voi.

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