• I ristoranti stellati Michelin

Perché Dio chiede che nessuno tocchi Caino? Al 2 stelle Michelin di Montemerano della chef Valeria Piccini, il mistero è svelato

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Ricordo che avevo un’amica toscana all’università che soleva definire le cose speciali “di sapore”. Un qualcosa che ha gusto, classe, calore ed eleganza. Ecco, non mi viene in mente null’altro di meglio calzante per definire Da Caino, il ristorante che trova le sue radici nel 1971 anno in cui Angela e Carisio (chiamato Caino) aprirono una piccola enoteca (che ancora si trova accanto al ristorante) nel cuore di Montemerano, un borgo medievale incantato in piena maremma toscana. 

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Ed è quest’ultima la protagonista della cucina di Valeria Piccini la quale, insieme a Maurizio Menichetti (figlio di Caino), ha proseguito la tradizione della famiglia del marito. Una coppia che si completa: lui cantiniere e sommelier, lei discendente da una famiglia di cuoche nelle feste paesane. Et voilà. Da un’enoteca di paese ad uno dei migliori ristoranti d’Italia, 2 stelle Michelin. Vi si accede da una porticina di legno, tre scalini in discesa, immediatamente accolti da un’atmosfera elegante e casalinga al tempo stesso. Due salette, per un totale di 20 coperti circa, il caminetto acceso; un’atmosfera intima e romantica con chiunque e di qualsiasi umore voi siate; peccato solo che i tavoli molto ravvicinati (nella seconda saletta) “rompano” un po’ quell’atmosfera di “fuori dall’universo spazio-tempo” nel timore che i vicini origlino le vostre conversazioni. Non fateci caso e piuttosto disperdete lo sguardo, affascinati dai movimenti della cucina e dello staff che si intravedono attraverso la porta di vetro scorrevole che si apre e si chiude in continuazione. Ma Valeria … non c’è? No, Valeria quella sera non c’era, era il suo giorno di riposo.

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Quindi, per sfidare la sorte (o forse per sentire Valeria egualmente vicina), ho deciso di optare per i “piccoli assaggi della cucina di stagione – consigliati dalla Chef Valeria”, uno dei due percorsi degustativi alternativo a quello dei “piatti storici”. Un zig e zag fatto di colori, sapori e profumi del territorio. Che, nel concreto, ha così preso forma:

Triglia alla Livornese con Brodo Affumicato: saporita e dal gusto deciso. Pare anche Gennaro Esposito gradisca questa proposta (che cucina in umido con caprino e gnocchi di bietola).

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Zampetto di maiale con caviale, mandarino e cavolfiore: a dir poco prelibato, oserei un “succulento”; la grassezza del maiale controbilanciata dalla freschezza del mandarino e mitigata dalla soffice leggerezza del cavolfiore. Un’esplosione di colore nel piatto.

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Tagliolino di Farine Antiche, Cannocchie, Cacao e Pompelmo: un piatto più “fresco”, forse a smorzare l'”untuosità” dello zampetto per preparare il palato all’assaggio seguente.

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Ali di Razza e Petto di Tordo: qui mi scappa un “Originale!” perché è la prima volta che assaggio questo piatto che combina un pesce notoriamente non molto pregiato con della selvaggina piuttosto rara.

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“Maremma” – Il Cinghiale e il suo territorio: non poteva mancare Lui, icona e simbolo di questa terra. Si scioglie in bocca, lasciando spazio soltanto ad un calice di vino rosso di struttura per chiudere il cerchio di un’elisir di lunga vita.

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Per chiudere in dolcezza una crema di pistacchi, salsa calda di albicocca e sorbetto alla mandorla.

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Sbalordita invece dalla carta dei vini, un librone di difficile gestione manuale tanto pesava, con una proposta infinita tra italiano ed estero ed oltre trenta facciate dedicate al territorio toscano. Ci sono delle chicche incredibili e delle annate speciali.

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Decisamente apprezzato il Brunello di Montalcino del 2001 Piaggione di Salicutti, suggerito da Andrea Menichetti, il figlio d’arte presente quella sera in sala in assenza del padre (che lavora pure in cucina con mamma Valeria). Un Sangiovese in purezza dal colore rosso granato; caldo, fruttato, speziato, morbido, persistente, avvolgente. Un’equilibrata eleganza a conferma di un’ “annata storica” per il brunello, ricca di soddisfazioni mantenute negli anni.

Ancor più che apprezzata la seconda bottiglia, un Massa Vecchia del ’97; ho un debole per questa azienda, motivo in più per dedicare a quel vino, unico coma la sera trascorsa ed ogni giorno di questa sfuggente vita, un pensiero a parte: eccone il racconto.

Quanto allo scorrere della vita e delle cose che hanno un certo “sapore”, mi riservo per la mia prossima tappa una visita in cantina, magari in compagnia del signor Maurizio, una passeggiata a diversi metri sotto la piazza del paese, tra i cunicoli che si diramano nel sotterraneo per accogliere circa 20.000 bottiglie. Da bere in questa vita e forse, anche un po’ da sognare, per quelle future.

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Cucina

 

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