• Riflessioni enoiche…

Naturale si o naturale no? Questo è il dilemma!

L’altro giorno mi sono divertita ad assistere ad una diatriba sul gruppo FB dedicato ai vini naturali. Così, da spettatrice statica, divertita dall’altalena di reazioni ed emozioni che una tematica del genere è in grado di suscitare, mi è subentrato lo sfizio di approfondire maggiormente alcuni temi, da tempo galleggianti nella mia mente ma mai oggetto di spunto o riflessione. O anche semplicemente del “fare un po’ chiarezza”. A me quantomeno. Perché per altri potrebbero arrivare ad essere fonte di una scazzottata vera e propria.

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Vino, ridotto (all’osso?), ossidato (ma è ridotto così male?), ci sta della volatile (ecco, ci mancava!) … Che siano dei difetti, per lo più olfattivi, ci suona più o meno a tutti. Ma per essere un po’ più precisini (che schifo!), anzi, volendo partire dalle basi, dobbiamo mettercela via che un po’ di chimica ce la si deve sorbire.

La riduzione di un vino ne indica difatti una condizione chimico-fisica che si manifesta in presenza di ossidoriduzione ed il principale responsabile è l’acido solfidrico (o l’idrogeno solforato?). Questo significa che non necessariamente la sua presenza è negativa dato che , “fisiologicamente”, sono i lieviti stessi a produrne una quantità limitata finché fermentano. Ma, se il mosto viene “contaminato” da altri tipi di lieviti o da dei batteri (scarsa igiene? intercorre troppo tempo tra vendemmia e vinificazione?), quella quantità aumenta; l’acido, rimanendo troppo a contatto con le fecce e con ciò che rimane dei lieviti, si allea con qualche altro elemento e diventa un “composto” che può compromettere l’aroma del vino. In genere, il travaso dovrebbe servire non solo a pulire il vino dai solidi che si depositano ma anche da quei composti dall’odore cattivo di cui vi ho parlato sopra. Il vino ha bisogno di respirare insomma: come dargli torto. Certo è inoltre che anche il rame a contatto col vino possa aiutare a ridurne il “difetto”. Per qualcuno ho forse detto una bestemmia? Però non è mica bello che si percepiscano sentori di uovo marcio o cavolo cotto … O sono forse queste delle estremizzazioni? A volte le alterazioni possono essere semplicemente percepite come un più spiccato sentore di … “amaro”, “erbaceo” … Sono semplicemente dei vini più duri, ecco. Ma forse per questo anche un po’ più puri? Qui non mi schiero. Cedo all’idea che è solo questione di punti di vista.

                                                   Video tremolante non per via del vino ….

                               

Giacché, da sempre convinta, se esiste il bianco esiste anche il nero (e non solo nel vino!), pure l’eccesso di ossigeno può fare danno. Ebbene si. Un vino ossidato in genere si nota dal colore, meno brillante, più scarico. E quanto al sapore si aprirebbe una parentesi incapaci di chiuderla (curry,resina nei Bianchi/ prugna secca nei Rossi ….). In poche parole è un vino che, a causa di un eccessivo contatto con l’aria, ha perso di freschezza. Il pericolo si manifesta già al momento della raccolta quando l’uva viene riposta nelle ceste. Anche qua subentrano degli enzimi. Tuttavia, è anche vero che nel mosto ci sono molte sostanze naturali antiossidanti che un aiutino lo danno; e poi dal mosto al vino, dove sono i polifenoli nei rossi a dare una mano. Che confusione però: questo ossigeno allora fa bene o no? Certamente si, è fondamentale. Ma nel dosaggio e modo corretti. E nel caso, un po’ di solforosa aggiunta aiuta a prevenire quello che le sostanze naturali non arrivano a fare. Ho forse, per qualcun altro, detto un’ eresia? In fin dei conti fragranza e freschezza non sono per tutti sinonimo di profumo. Che può essere invece per altri rappresentato da quella nota che i francesi chiamano rancio e che ricorda  sentori forti e pungenti come quelli di tostatura, verdura cotta, fieno … Lungi dalla consuetudine, meno scontati. E qui un po’ mi schiero. Forse non è solo questione …. di punti di vista. Anche lo spirito conta alle volte.

Ci sta infine della volatile. Anzi, per esser puntigliosi (che schifezza), ci sta l’acidità volatile (e per ritornare sempliciotti parliamo a questo punto di acido acetico). Prodotta dai lieviti durante la fermentazione; può essere causata da uve poco sane, da alterazioni batteriche e anche dall’uso di lieviti indigeni (ci possono infatti essere degli arresti nella fermentazione che possono aumentare l’acidità volatile di cui sopra). Non basterebbe l’uso di lieviti selezionati e maggiore solforosa per stabilizzare la situazione? Ecco che dall’eresia sto passando, ancora una volta, alla blasfemia … Perché, se il confine tra una fastidiosa pungenza acetica ed una nota di pungente freschezza è così labile, perché alterare il vino della sua naturalezza? E qui non voglio ne schierarmi ne astenermi.

Per il semplice fatto che, se parlando di ossidazione e riduzione si arriva a respirare un po’ di volatile nell’aria, figuriamoci cosa succede se ci si addentra nei meandri dei vini tradizionali, anziché naturali, un po’ biologici e, se ci spingiamo alle fasi lunari, anche biodinamici … Se pur agricola e produttiva, sempre di filosofia trattasi. Ed io per il momento mi fermo qui.

7 commenti

  1. Mondelli Francesco

    La mia filosofia al riguardo é molto semplice.Tutte le strade DEVONO portare a Roma .Mi spiego.Ogni viticoltore ha il diritto di scegliersi la via che preferisce,mentre io ,consumatore finale ,pretendo che nel bicchiere mi arrivi un prodotto ottenuto da uve in perfetta salute trasformate in vino con tecniche di cantina adeguate e,sopratutto, che non abbia difetti e che mi dia piacere.Tutto il resto (parafrasando una canzone del Califfo)è noia.Troppi discorsi a conforto della propria scelta .Quando ci troveremo di fronte ad un bicchiere di qualità incontestabile le parole non saranno più necessarie ma,incantati,ci fermeremo ad ascoltare(ci starebbe bene anche il mare) le emozioni che questo incontro ci saprà regalare.FM.

    • Caro Francesco …. si, direi che sei proprio andato al nocciolo della questione; anzi hai estratto il succo di quello che volevo dire, visto che siamo in tema di vino … mi hanno dato della democristiana ma penso anche di essere una moralista e quindi, se non pensiamo e beviamo quello che ci piace, che senso ha di esistere?

  2. La questione però è mal posta, ancorché interessante spunto di riflessione.
    Ovvero: proviamo a guardare le cose da un altro punto di vista e chiediamoci:
    ma questo vino è buono o non è buono?
    Per fare ciò usiamo un metodo di raffinamenti successivi. E iniziamo (schematicamente):

    1) naturale+volatile+ossidazione+ridotto= NO BUONO
    2) naturale+volatile+ossidazione= RIVEDIBILE
    3) naturale+volatile= ACCETTABILE ma occhio a ossigeno/batteri
    4) naturale senza difetti biologici= BUONO
    5) naturale senza difetti e con profumi intensi= TOP

    Perché ciò?
    Perché la questione è saper far o non saper fare il vino.
    Non basta cioè fare il vino, bisogna SAPER fare il vino, perché fare un vino con difetti biologici è una pratica che esiste da sempre, e mio nonno lo sapeva bene: buono sino a giugno, poi spunto.
    Ma un vino naturale buono, cioè il TOP, parte da lontano, e necessita impegno, dedizione, attenzione e una cura maniacale di tutti gli aspetti e i tempi della vinificazione senza aggiunte.
    Ci sta anche aggiungere un pizzico di solforosa per l’imbottigliamento, purché si rimanga ampiamente sotto i limiti di legge, diciamo 40-50 mg/lt, in modo da conservarsi con sicurezza. E’ come usare le precauzioni per spedire un cristallo infrangibile: anche se infrangibile si mettono le protezioni, e nel vino uguale.
    E’ una sorta di paracadute di sicurezza.
    Ecco il vero succo della questione, ed è purtroppo qualcosa su cui occorrerebbe concentrare maggiormente i ragionamenti, in modo da smontare pregiudizi e luoghi comuni sui vini naturali.

    • Caro nuragicamente; sì certo è

    • … Volevo dire certo è che tutto parte da lontano e soprattutto da una dedizione e cura maniacale di ogni singolo pezzettino del processo… E che è quello che fa la differenza al di là dell’integralismo sui “solfiti assolutamente no” o viceversa… La conclusione per me è sempre la stessa… Sul “come”ci si può scannare per ore e parlare lingue diverse; sul risultato finale di quel come siamo tutti d’accordo. Il vino deve essere piacevole e dare emozione… Grazie per le tue riflessioni comunque 🙂

  3. Ma se invece di “buono” o “non buono” ci fermassimo al “mi piace” o ” non mi piace” ? 🙂

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