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La tenuta Kränzelhof: un labirinto, non solo degustativo, da percorre in tutti i sensi

Ho deciso di affrontare, in autunno o quand’anche sia, l’esame di degustatore ufficiale. Ci sarà da cimentarsi in degustazioni tecniche e terminologie; assegnazione di punteggi  ed altre cose. Consisterà nell’ostentare un atteggiamento tranquillo, composto e fluido, non necessariamente in quest’ordine. Un esame scelto di sostenere dopo aver certamente appurato l’assenza di quella che è stata in gergo tecnico definita “prova di servizio”. In parole povere dicasi “apertura della bottiglia di fronte ad una commissione ingessata per l’occasione”. Impressa nella mente come insormontabile scoglio, giacché mi ritrovo memore della figuraccia accaduta nel mentre del mio esame da Sommelier. Ecco, lo ammetto, la manualità non è il mio forte.

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Il tutto per confessare che una recente sera mi sono, non tanto innamorata, quanto incaponita, di e con un vino ostico a tutti gli effetti. Un vino il cui tappo, lasciatemi dire, mi ha ferita. Non tanto nell’animo, quanto nel corpo. Aia! Parliamo del Pinot Nero Riserva 2010, dal tedesco blau-burgunder* (giusto affinché comprendiate l’etichetta), dell’azienda vinicola Kränzelhof.

*Blau significa nero in tedesco – e Weiß significa bianco. E Burgunder? Significa Pinot

La tenuta è un giardino. Di ettari sei. Con svariati vitigni. Schiava, merlot, cabernet, weiß-burgunder*, sauvignon e traminer.  Dove? A Cermes, in provincia di Bolzano: un paesino di poche anime. Sono “Vigneti delle Dolomiti”: ci troviamo ad un’altitudine compresa tra i 300 e i 600 metri. Mi affascina la viticoltura “estrema”; mi affascina l’insolito. E qui di audacia se ne respira molta. La tenuta è un giardino, l’ho già detto vero? Ops, scusatemi. E’nell’autunno del 2003 che si piantarono i primi frutteti. Durante la primavera si realizzò la struttura del labirinto progettata da Gernot Candolini e si piantarono le vigne. In virtù “non tanto di un  progetto, quanto di sensazioni”. A tutti gli effetti si è di fronte ad un’opera d’arte in continuo mutamento”: creazioni artistiche, stagni, ruscelli; un teatro (con vista sulla conca di Merano); terrazze, giardini nel giardino e labirinti nel labirinto. Si perché ci sono il Giardino dei castagni, il Giardino del riposo eterno e quello dei frutti. C’è un labirinto a spirale e poi c’è Il Labirinto, esteso 3.300 m², opere del signor Gernot. Un progettatore di labirinti, per l’appunto. Uno che della tortuosità ne fa uno strumento di crescita spirituale e contemplazione.  Così come io della mia maldestra attitudine uno strumento di auto-ironia, sia pur di tanto in tanto imbarrazzante.  C’è però da precisare come fosse in quest’occasione il blau-burgunder* debitamente tappato con un tappo in silicone, a sua volta debitamente attorniato da una capsula di stagnola, debitamente alleati nei mie confronti (aia!). Nei riguardi di una Sommelier chissà se mai degustratice ufficale (ma sempre e senz’altro ufficiosa), per nulla al mondo intimorita. FullSizeRenderSpinta da un intento ultimo. Quello, in questo caso, di riuscire ad osservare un granato tutto brillante; odorare un miscuglio di frutta matura, a tratti secca, con quale aroma terziario in interferenza. Del pepe sicuramente. Chissà se qualcosa in più di più complicato, sia mai complesso. Gustare e retrogustare quell’esplosione di colore saporito. Sentire sulla lingua quel tannino vellutato che il sostare in botte di rovere gli ha donato. Percorrere in ogni suo elemento una degustazione da degustatrice a tutti gli effetti tenendo sempre a mente che “La strada più diretta verso una meta sembra spesso breve e diritta. Ma tutto quanto è prezioso non è né facile né veloce da raggiungere”.

 

 

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