• I ristoranti stellati Michelin

Il ristorante Met dell’hotel Metropole di Venezia – da me interpretato

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Si sbarca dal treno e non dalla barca. Ci si “strena”. Ci si estrania. Si esce dalla stazione ferroviaria e ci si trova davanti la bellezza di Venezia. La Bellezza. Pura in tutta la sua essenza. Bagnata, luminosa. Luccicante. L’asfalto umido. Le goccioline nell’aria. Quelle che arricciano i capelli. Quelle che ti fanno sentire viva anche nelle peggiori condizioni climatiche. Umidità che sfida anche il capello più tenace. Umidità che si insinua anche nelle ossa più giovani. Ma è tutto comunque fantasticamente predisposto: città unica al mondo.

E poi si prende il vaporetto. Direzione: riva degli Schiavoni. Troppo lunga la strada  a piedi per chi è inesorabilmente in ritardo. Non c’è il tempo per una passeggiata, di quelle che trasformano il buco allo stomaco in una voragine che poi a sua volta verrà assopita quando si entra al Met, il ristorante stellato dell’hotel Metropolitan. Il ristorante avvolto nella penombra, la cui classe ed eleganza attutiscono poco a poco il più verace degli appetiti. Facendo entrare il proprio ospite all’interno di una bolla di sapone. E facendolo saltellare all’interno di questa bolla, estraniandolo dall’umida Venezia che sta fuori. E’ tutto così…non lo so. L’oriente nell’arredo riesce a fondere ogni singolo elemento, l’uno all’altro, smentendo il concetto del “troppo storpia”. Qui c’è oro. Ci sono quadri dalle cornici importanti. C’è un tappeto al centro della sala. Un tappeto morbido. Qui non ci si può fare male. E’ tutto talmente volatile da rasentare solo il “qui ed ora” nel bel mezzo di un viaggio di mercanti nella Venezia di un tempo. E’ uno stile  arabeggiante che ci sta tutto. E che si coniuga con una clientela di origini eclettiche.

A pochi passi da piazza S. Marco, in un hotel che si affaccia sulla laguna, a metà strada tra la via dello shopping raffinato e la Biennale d’arte. Allo shopping raffinato non c’ho fatto molto caso. Focalizzata nell’intento. Del mangiar bene e con eleganza, deglutendo, col senno di poi, non solo pietanze ma vera e propria arte (è l’influenza della Biennale). D’altronde c’è molta ispirazione artistica a Venezia. Al Met trasposta in modo “tracontemporaneo”. Si, perché è questa la cucina che io ho interpretato come “la cucina del qui ed ora con un occhio che va oltre” dell’executive chef Luca Veritti (d’origine friulano e non veneziano, formatosi accanto a chef del calibro di Marchesi e dei Fratelli Cerea), subentrato a seguito dello chef Fasolato. Una storia interessante quella di Corrado che meriterebbe una riflessione a parte. Ha abbandonato il Met e con lui anche le due stelle Michelin se ne sono andate. E poi un duro lavoro di rilancio. Prima, durante e dopo. Finalmente si riconquista la stella. A fatica. Una storia di sottili equilibri in un mondo affascinante quanto insidioso. Una stella riconquistata e tenuta stretta attraverso il duro lavoro di Luca e del suo modo di fare cucina.

“Tra” come tra-dizione. Mischiata quest’ultima ad un tocco di contemporaneità che consiste nell’inserire un ingrediente intruso all’interno di ogni ricetta tradizionale.  Basti pensare all’antipasto, in cui la capasanta in versione contemporanea, impanata in pane scuro, rievoca il tartufo nero. L’incipit di un percorso culinario lungo ma non troppo. Elaborato ma senza eccessi. Seguito da dei gnocchetti immersi in una crema di zucca (erano davvero gnocchetti?) e ancora da un pescato (oggi ho una pessima memoria pertanto rimango sul generico) servito con delle verdure di stagione provenienti dall’isola di Sant’Erasmo (allora è km 0). E’ il menù contemporaneo. Ogni pietanza ha una doppia faccia. E’ Interessante. E’ Delizioso per il mio palato di quella sera. E’ Giocoso l’albero di canapè di benvenuto, sui cui rami si trovano appese delle delizie, ossia delle piccole creazioni panificate con dentro ogni ben di Dio.  E’ Dolcissimo, in senso metaforico, il dessert: ricotta, chocolate and pear tart. Non suona forse meglio in inglese? Beccatevi comunque questo interessante articolo sul Met scritto con una sapienza culinaria decisamente superiore alla mia, quella sera.

Con la testa un po’ tra le nuvole non ho annotato nulla, ho scordato i tecnicismi, ho fotografato poco ma ho semplicemente giocherellato con il cibo, lasciandomi guidare dalla rilassata professionalità  del maître Denis Lovo. Si perchè lo chef non è apparso. E un po’ mi è dispiaciuto. Ma Denis, hai fatto un ottimo lavoro.

Ho giocato con i sali, con i lievitati, con la spuma di burro e l’olio evo. Con i pre (-antipasto; – dessert). Con la carta delle acque, dei tè e dei caffè. Con quella dei vini (forse ingiustificatamente all’altezza di uno stellato). Ho gratificato l’occhio con le porcellane d’autore della mise-en-place. Sono uscita con un po’ mal di testa. Quel leggero mal di testa che denota l’aver sperimentato. L’aver incamerato delle forti emozioni sensoriali.  L’aver vissuto…. Una cena al Met, in un’umida serata di un qualunque sabato veneziano.

Poche foto, anzi nessuna, serata romantica, solo ricordi indelebili nella memoria!

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4 commenti

  1. Come Sai descriveru tu il cibo e l’esperienza gastronomica…mai nessuno…chapeu! 👏👏👏👏

  2. Mary, tu dici che la mia recensione è scritta con maggiore sapienza, ma ti assicuro che – probabilmente come te – anche i miei articoli nascono di pancia e passione per la grande eccellenza! Complimenti, non capita spesso di imbattersi in letture tanto coinvolgenti: anzi, mi è sembrato di rivivere quella giornata al MET! Grazie per l’apprezzamento 🙂

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