• I ristoranti stellati Michelin

Che delusione l’Enoteca Pinchiorri! Un paradiso per gourmet o per gente facoltosa?

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Avrei annotato seduta stante le riflessioni sulla mia cena in Via Ghibellina 87 a Firenze ma poi ho pensato che dell’Olimpo della ristorazione italiana (così si dice) non si può scrivere di getto. Meglio a mente fredda, nell’intento che i pensieri siano l’oggettiva esternazione di un’esperienza vissuta sulla propria pelle  (…. un po’ scottata). E poi c’è sempre quel pizzico di soggettività del … “de gustibus…”.

Rewind: sono ancora seduta in taxi e sto fantasticando su quanto avrò da decantare, solita apprezzare ogni sfumatura delle mie esperienze “stellate” (“ma tu, non ci trovi mai un difetto?”). Sono certa di non smentirmi anche questa volta, quando mi viene aperta la porta del settecentesco palazzo Jacometti-Cioffi e mi trovo immersa in una raffinata atmosfera d’altri tempi.

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Un incessante andirivieni di personale di sala distrae la mia attenzione, così sorvolando sulla delusione di non aver ricevuto dal Signor Pinchiorri il classico benvenuto (così come un “arrivederci” alla fine). Non si parlava di “proverbiale e calda accoglienza”? Amen, non tutte le serate sono uguali. In compenso lo squadrone si da un gran da fare e siamo subito accompagnati al piano superiore in una sala rivisitata con un tocco moderno, dove il soffitto (a mio gusto) un po’ stona con tutto quanto attorno.

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Formalismi di circostanza accompagnano la consegna del menù che già ad una prima scorsa non attrae la mia attenzione. Ed alla seconda nemmeno. “Cambierò idea!” penso mentre scorro la carta delle acque, quand’ecco d’improvviso sfatata una mia certezza: quella dell’acqua accessibile a tutti. In quanto lusso forse sì, quando di acqua sciolta di ghiacciaio trattasi. Massima la dedizione del giovanotto nella delucidazione non è bastata per cedere alla tentazione di provare quella chicca. Pensare che sono solita sperimentare tutto riservando il criterio economico ad altre occasioni. In Enoteca non è andata purtroppo così. Nemmeno nella scelta del menù dove l’aver optato per la degustazione di 4 assaggi (“Menù della scoperta”, dessert incluso) si è rivelata bene o male forzata. Se così non volete accada, evitate qualsiasi paragone con altri colleghi dell’Olimpo stellato italiano dove le triple cifre dei “tasting menu” sapranno pur loro togliervi il respiro ma, col senno di poi, per una valida ragione. Ad ogni modo, alle 4 portate potete aggiungerne altre 3 (scelta che non vincola tutto il tavolo, aspetto che ho apprezzato) percorrendo un menù più ampio che spazia dalla “galantina di faraona su giardiniera di verdure” …

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… al “controfiletto di agnello arrosto”

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… la “zuppa di pesce con filetto di scorfano”, gli “spaghetti alla chitarra con frutti di mare” ed il “maialino di razza romagnola”…  

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Di “innovazione”, piatti da “WOW”, di quelli che che lasciano il segno non ho riservato ricordo … Ecco, forse l’uovo croccante con maionese al rafano, un piatto dall’accostamento di sapori azzeccato, si è saputo distinguere uscendo un po’ dall’anonimato …

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… forse hanno puntato maggiormente sul concetto di “rivisitazione creativa della tradizione?” Per me nemmeno. Quindi? Piatti semplici (per nulla stupefacenti) con materie prime di estrema qualità e di gradevole presentazione.  Condizioni necessarie ma non sufficienti per appagare un consumatore gourmet, sempre più solleticato dalle spettacolari performance del firmamento stellato, mono-bi o tri esso sia. Quel consumatore “molesto” che rimane deluso quando realizza che il paradiso delle entrée si è esaurito con una “chips con crema di rapa” ed un “raviolo ripieno” (e sì che ce ne sarebbe da sbizzarrirsi!) …

enoteca-pinchiorri_entree_chips-di-rapa … ed il pane fatto in casa con una selezione di un paio di tipi tristemente serviti su di un piattino (pensare che di solito si fa indigestione tra salsine e spume di burro da capogiro). Quel consumatore che, sia pur lieto di sentire i racconti dello storico sommelier (il maître non s’è visto girare), con un orecchio ascolta e con l’altro … occhio scruta, chiedendosi dove diamine sarà mai finito lo chef de rang e con lui la supervisione su sala e commis. Ammirevoli quest’ultimi, corrono e brigano, appoggiando e cavando piatti all’unisono (protocollo non prevede vassoio? non pretende piatti serviti uno per volta)? Quel cliente che nota che sul tavolino di servizio viene appoggiata la propria bottiglia insieme a quella dei vicini ed il bicchiere vuoto non riempito solertemente. Quello stesso cliente, sempre lui, che da molesto diventa più docile, riconoscendo una pasticceria di ottimo livello ed un’ottima mini-pasticceria che ha però solo in parte compensato le sbavature iniziali ed il servizio non proprio attentissimo.

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Avrà forse il pastry-chef le mani meno legate in tema di espressione del proprio guizzo creativo, rispetto ad un Executive forse più ingabbiato nei dettami di una tradizione un po’antiquata? Perché, nonostante l’indiscutibile sforzo di 32 teste in cucina, ci si chiede come sia possibile un risultato così lontano dal brio che si ritrova in molte altre cucine stellate dove quando si legge il menù c’è l’imbarazzo della scelta e la fantasia inizia a volare.  Ed è qui che la domanda spontanea sorge: “non sarà che al vino (e la tradizione che in tal caso lo accompagna vista la nota fama del Signor Pinchiorri), uno soltanto degli elementi che dovrebbero esser valutati, viene dato un valore sbilanciato rispetto al resto, al punto da esser lui a determinare il giudizio finale dell’ispettore Michelin?” Già perché il signor Pinchiorri in 50 anni di passione (quella decantata tutta la sera da vecchie e giovani leve in modo forse un pelo eccessivo) ha costruito una cantina “unica ed inimitabile” agli occhi del mondo intero e di Wine Spectator in particolare (volete visitarla? a fine cena sarà possibile, così come una girata in cucina). Che si riflette su di una carta biblica, fatta di annate storiche di grandissimi nomi (Tignanello, Sassicaia, Romanee Conti, Petrus, Latour, Chateau d’Yquem, per citarne solo alcuni), dai prezzi esorbitanti ed i ricarichi sopra la media dei colleghi.

enoteca-pinchiorri_cantina_2

enoteca-pinchiorri_cantinaPiù che di una carta di vini m’è parso per la prima volta nella vita di sfogliare una mastodontica collezione che, pagina dopo pagina, faceva aumentare la sensazione del “guardare ma non toccare!”. Dove mi è risultato in soldoni impossibile scorgere qualche chicca “diversa” dalle grandi firme, qualche vino “fuori dal coro”, oltre ai grandi nomi e alle grandi etichette che chiaramente non possono mancare nella carta di un tristellato ma nemmeno esserne l’unica prerogativa. Per la prima volta è stato davvero imbarazzante sfogliare pagine e pagine e ancora pagine e non provare nemmeno … l’imbarazzo della scelta. Se interessante è equivalso a proibitivo il criterio di scelta immaginate voi quale sia stato …

Con l’amaro in bocca ho passeggiato per rientrare in hotel, riflettendo tra me e me che forse l’Enoteca Pinchiorri è il paradiso per le persone facoltose, più che per i gourmet alla ricerca di un’esperienza sensoriale, di quelle del “ne è valsa proprio la pena!” … Pazienza, sarà per la prossima volta!

 

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