• I vini naturali… lieviti indigeni in azione

Per arrivare alla fonte bisogna nuotare controcorrente: la filosofia di “Brama” l’azienda che ha ridonato splendore ai vitigni “alloctoni” dei monti picentini

“Guarda alle pietre d’inciampo come a gradini verso le stelle e ribalterai un punto di vista!”

Metti una coppia affiatata di nome Rino e Tiziana, la voglia spinta di brigare ma contro-tendenza, il giusto pizzico di non-conformismo e una forte passione l’uno per l’altro, così come per il vino … ed ecco che si materializza Brama, l’azienda agricola nel cuore dei monti picentini campani. Una produzione artigianale che non supera le 5000 bottiglie l’anno, da poco meno di 3 ettari coltivati in modo naturale, 2.4 a Montecorvino Pugliano e 0.5 a Caggiano.

Un’azienda e dei vini dei quali c’è il grosso rischio di … innamorarsi. Lasciatevi andare, suvvia!

azienda-agricola-brama

Una coppia affiatata e di estrema compagnia, semplice quanto piacevole, pacata e rilassante … Così ho vissuto le giornate trascorse sul finire del 2016 assieme a  Rino e Tiziana, ospite della loro cortesia e decisamente affascinata dalla loro forte determinazione.

Già perché a rendere davvero speciale Brama è la storia che ci sta dietro, quel dietro … “le quinte” che nessuno si immaginerebbe mai: la storia di un progetto che trova le sue radici nella vocazione per un territorio, della sua storia e relativa identità.

Per capire chi è Brama oggi bisogna fare qualche passo addietro, una passeggiata virtuale tra i vigneti di un tempo. Un rewind fino agli anni ’70, quando una riforma agricola che interessò una parte dei monti picentini portò ad espiantare i vigneti all’epoca sussistenti a favore di nuove varietà maggiormente produttive, assegnate quindi ai contadini locali. Il movente economico, in assenza di una vero e proprio senso di identità territoriale, prevalse sulla volontà di preservare quest’ultima. Ecco dunque comparire sulla scena, accanto ai nostrani aglianico e fiano, vitigni quali il sangiovese e la barbera tra i rossi, la malvasia ed il trebbiano tra i bianchi. Così come una manciatina di francesi quali petit verdot, cabernet e merlot che nell’intercalare campano mantengono con dignità il suono dolce dell’eleganza d’oltralpe. Oltre le Alpi o appartenenti allo Stivale, sempre di varietà non-autoctone comunque trattasi. Un insieme di vitigni erroneamente o forse tristemente definiti alloctoni che per anni hanno nel pensare collettivo svilito l’identità vinicola della zona interessata, nella convinzione che la loro comparsa ed affermazione andasse a braccetto con la deriva del mono-vitigno campano.

… Ma se è vero che dagli anni ’70 ad oggi d’acqua ne è passata sotto i ponti, è altresì certo che di stagioni, vendemmie ed un bel po’ d’esperienza ne hanno maturata queste vigne. Quanta storia deve passare per definire dei vitigni “autoctoni”, per considerarli appartenenti ad un terreno, per offrire loro cittadinanza nostrana ed apprezzarne i brillanti risultati qualora trattati e coltivati con la stessa cura prestata ai vitigni autoctoni? Ed è proprio questa la filosofia che ha spinto Rino e Tiziana a valorizzare questi vitigni, considerandoli alla stregua di veri e propri vitigni autoctoni, considerandoli parte integrante del territorio dei monti picentini. Dopotutto, non hanno pur sempre scritto la storia degli ultimi 50 anni?

Semplicistico e banale considerarli vitigni di serie B. Più anti-conformista e sfidante spingersi oltre dimostrando che, attraverso la massima cura alle varietà, ai terreni, ai microclimi ed alle condizioni tanto di vigna che di cantina è possibile ottenere dei risultati brillanti. Ed è così che dalla … “brama” di dimostrare tutto ciò è nata un’azienda agricola unica nel suo genere. Brama di fatto e … di nome. Insieme è stato quest’ultimo deciso, per sottolineare quel senso di positiva irrequietudine e voglia di fare sempre di più.

crianza

Tiziana e Rino sono partiti a fantasticare con due vini. Il Sanacore ed il Crianza, due nomi che da tempo frullavano nella loro testa.

Il primo un 100% petit verdot. Il secondo un trebbiano in purezza. Il primo un bianco dorato dalle note di frutta matura, controbilanciato da una certa freschezza in bocca … Il secondo un “toccasana” dal gusto caldo ed avvolgente, elegante e speziato.

 sanacore_2

Il  Forastero, un sangiovese toscano in tutta la sua essenza. Una gentile esuberanza. Tannico ma abbastanza morbido, con un buon potenziale di invecchiamento. Un sangiovese che ha goduto a pieno del calore del sole campano.

forastero_2Lo Sparaposa, un nome, una certezza. Da uve barbera, molto intenso e complesso al naso. Morbido e dolcemente tannico in bocca.  Dalle stesse uve l’azienda produce anche un’interessante rosato, Cerasella.

Lo Scaramanzia, il vino che, dal vitigno autoctono aglianico, è l’unico dell’azienda prodotto con un vitigno da sempre appartenente al territorio.  Il suo colore è granato. In bocca è decisamente caldo ed abbastanza tannico. L’unico da un vitigno non alloctono, l’eccezione che conferma la non-regola.

Per concludere in bellezza … oops, volevo dire in dolcezza, l’azienda agricola Brama produce anche l’Alleria, da uve moscato di Salvitelle. Un bianco passito dolce ma non stucchevole per via della sua piacevole e controbilanciante acidità.

Che ne pensate, di andare contro-corrente ne è valsa dopotutto la pena? Io, assaggiando questi vitigni, ciascuno rappresentato in purezza,  credo proprio di SI’!

Lascia un commento